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Alaska - Recensione

24/10/2015 | Recensioni |
Alaska - Recensione

Una sofferta storia d’amore, la difficoltà esistenziale di due persone senza radici, un ragazzo e una ragazza fragili, soli e ossessionati da un’idea di felicità che sembra irraggiungibile, questo è in due parole Alaska di Claudio Cupellini, ultimo film italiano presentato nella Selezione Ufficiale della Festa del Cinema di Roma.
Fausto è un italiano che vive a Parigi e lavora come cameriere in un grande albergo, Nadine è una giovane e bella ventenne francese che aspira a un carriera di modella. Tra i due sboccia un amore pieno di ostacoli e sorprese. Fin dal loro primo incontro, sul tetto dell’albergo, che finisce tragicamente. Dopo essersi intrufolato in una lussuosissima suite dell’hotel dove lavora, insieme a Nadine appena conosciuta, Fausto aggredisce l’ospite della suite rientrato all’improvviso. Il ragazzo finisce in prigione e passa due anni a pensare a Nadine della quale si è innamorato. Fausto esce di prigione e da qui inizia un via vai di fughe e rincorse sentimentali tra Parigi e Milano in un susseguirsi di eventi: incidenti, suicidi, omicidi, matrimoni saltati e ritrovamenti. A dominare su tutto, un fortissimo sentimento che lega due anime alla perenne ricerca di se stesse.

Dopo aver diretto la commedia Lezioni di cioccolato, il noir Una vita tranquilla interpretato da un grande Toni Servillo (presentato proprio al Festival del film di Roma) e dopo aver firmato la serie televisiva di successo Gomorra, Claudio Cupellini firma un melò che definisce “qualcosa di prepotentemente emotivo e romantico, di spudorato dal punto di vista sentimentale”.
Alla definizione di “tragica ed epica storia d’amore” data dal regista al suo film, preferiamo quella di parabola drammatica dagli esasperati toni noir. Il difetto maggiore del film risiede proprio in una sceneggiatura (scritta da Cupellini insieme a Filippo Gravino e Guido Iuculano) piena di situazioni al limite dell’assurdo e talvolta prive di logica. Nelle due ore abbondanti di durata (decisamente troppe) succede di tutto e di più. I personaggi, modellati con l’accetta, agiscono sempre impulsivamente senza far mai minimamente ricorso alla ragione. Sono comportamenti violenti e spesso sopra le righe a farla da padrone, fin dalle prime scene.
E così la più classica delle storie di amore ‘disperato’ e assoluto naufraga in un mare di eventi tragici e di sentimenti esasperati. E così la coppia di innamorati ne dovrà passare davvero di tutti i colori (compresi due soggiorni in carcere) per arrivare al ritrovamento di un amore mai sopito. Tutto questo tra una Parigi fatta di hotel di lusso e grigie prigioni e una ‘Milano da bere’ fatta di set fotografici e discoteche alla moda dove lo sballo è la parola d’ordine. Nell’arco temporale di cinque anni i due protagonisti passano dalla povertà, all’affermazione sociale e poi di nuovo giù nell’abisso della disperazione, a turno sporcandosi le mani con il sangue e la violenza e passando repentinamente dall’odio all’amore.
Una regia tutto sommato buona appare questa volta letteralmente sprecata. Un vero peccato anche e soprattutto per l’ottima prova recitativa (nonostante il copione) di Elio Germano, ancora una volta chiamato a interpretare il ruolo di un giovane ‘maledetto’ dal fragile equilibrio emotivo, ben affiancato dalla bella e convincente Astrid Bergès Frisbey. Accanto a loro, eccellenti comprimari, a cominciare da Valerio Binasco nei panni dell’instabile Sandro, sognatore destinato alla sconfitta (il suo sogno è un locale notturno il cui nome dà il titolo al film) e da Elena Radonicich, ricca rampolla del proprietario di una catena di hotel di lusso.
Una parabola di sconfitte, successi e nuove sconfitte, una storia di sogni, speranze e seconde occasioni ricoperta da una patina di melodramma dai toni furiosi, estremi e francamente eccessivi.

Elena Bartoni 
 

 


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